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Ecco che riaffiora l’inquietudine e lo scombusolamento. “E’ la tua tutor, non puoi farlo, non puoi darle retta…” i pensieri sembravano discordanti “…anzi non ti fila per niente! È tutta una tua immaginazione. Rilassati”. Ma il respiro si faceva ancora più affannoso e caldo. Il cuore accelera sempre di più, la mano sul mouse iniziava a dare di matto e a muoversi con gesti incosulti e irrazionali. Aveva voglia di prenderla, fare spazio sulla scrivania e baciarla, assaporare ogni suo centimetro quadrato di pelle, così profumata, così perfetta, così delicata. Chissà perché ne era così attratto: l’ultima sua ragazza era molto più giovane rispetto a lei, ma lei era Lei, la sua signora, la sua padrona la sua… “Hei! Un momento! Il telefono non doveva squillare proprio ora?”. Niente! Il telefono tace ed il tormento ricomincia, ancora con più impeto. “Strano” pensava “che sia un dejavu? Mi sembra di aver già vissuto questa situazione…” in effetti la sensazione di essere nuovamente in balia di lei era ultimamente all’ordine del giorno, specie da quando avevano preso un caffè insieme alla macchinetta. Non sembrava un avvenimento così importante: lui le offre il caffè, quattro chiacchere del più e del meno; poi lei sfila una sigaretta “mi fai compagnia” chiese. Era tanto tempo che non ne fumava una “sì, dai” rispose e per ancora tre lunghissimi minuti la conversazione venne dirottata sulla sua vita privata, sulle sue aspirazioni, sui suoi sogni… su quello che era lui. Da allora, ogni volta che lei poteva, si divertiva a tormentarlo, sfruttando il suo potere da primadonna e provocandolo in ogni modo.
La telefonata non arrivava ancora. Non sapeva esattamente perché ma c’era una telefonata l’altra volta: il telefono l’avrebbe salvato. Intorno i colleghi erano chini sul computer e stavano lavorando, concentratissimi. Erano lui e lei soli. Isolati dal resto del mondo. Troppo soli. Questo lo spaventava a morte. Non dovevano restare soli. Telefono, squilla! Telefono! Aiuto… niente! Era fottuto. I suoi occhi di pantera lo fissavano. Lui era bloccato, curvo sul computer di lei, con il mouse in mano e ricambiava lo sguardo. Si sentiva come un cerbiatto che è stato preso di mira da un lupo affamato. Affamato di cerbiatti. Preda facile per un lupo. Il cerbiatto cercava di svincolarsi dalla presa, ma il lupo lo teneva incatenato con il suo sguardo. Il lupo si avvicina e il cerbiatto trema. Il lupo gli è dinnanzi. Il cerbiatto la guarda. Il lupo è sempre più vicina. Il cerbiatto la attacca alle labbra ed il lupo ricambia il bacio. Il cerbiatto è caduto nella sua trappola. Si dimena ma non può far altro che scivolare in questa prigione d’oro che il lupo gli ha costruito. Il cerbiatto è terrorizzato “non si fa! non si deve! È sbagliato” ma non è sbagliato per il lupo. Il lupo sorride contento e soddisfatto del suo operato. Con le zampe lo abbraccia e lo stringe, rendendo concreta la prigionia mentale. Il cerbiatto, dopo un ultimo tentativo andato a vuoto di divincolarsi e fuggire via, si arrende a lei. Lei. Lei, la sua tutor lo sta baciando. La passione che corre in mezzo a loro lo sta divorando e, finalmente si lascia andare. La tensione svanisce, il cuore rallenta e i battiti non sono più frenetici ed angoscianti ma profondi e solenni, carichi della fierezza propria della passione. Le sue mani scivolano dietro la testa di lei ed i baci diventano morsi, quasi a voler divorare le labbra che fino ad un momento fa stava baciando. Il mondo attorno è fermo, immobile e nulla sembra oltrepassare quella barriera invisibile che li circonda. Tutto meno che un suono. Un suono fastidioso, impercettibile ma presente nella mente di lui.
Il telefono squilla debolmente. Non ora! Secondo squillo, ora più forte. Non ora ho detto! Terzo squillo, deciso e potente… salvo anche questa volta. L’incantesimo è rotto e lui si dirige verso il telefono, quasi non accorgendosi di cosa era appena successo, prede il cordless in mano e ritorna nel mondo reale. Nel suo letto. Era un sogno e doveva svegliarsi alla svelta: oggi aveva il meeting con Lei.