Tempo di sentirsi vivo
Con il vento che sfiora i capelli
Ed il sole che brucia la fronte
Troppo a lungo ho zittito le mie urla
Troppe a lungo sono rimaste dentro
Le lascio libere di volare
Per essere io libero
Per abbracciare la Vita
31 mercoledì Ago 2016
Posted del mio vivere, per scrivere qualcosa, Pezzi di me, Scripts
in05 martedì Apr 2016
Posted del mio vivere, Il mio cuore, Io e lei, personal, Pezzi di me, Scripts
inHo bisogno di Aria
Quell’immenso spazio vitale che non dà confini al creato, all’immaginazione, all’essere.
Ne ho forte bisogno: è vitale potermi muovere libero a piacimento, senza alcun vincolo. Senza il rischio di finire in una viziosa cattività, confinata in uno spazio ristretto, a corto d’Aria.
E così respiro a pieni polmoni per assaggiare la libertà ma senza intrappolarla dentro di me. Quanto riesci a tenere il fiato? Un minuto? Tre minuti? Sette? Sì, certo, sei riuscito ad intrappolare l’Aria ma poi deve uscire o ti uccide.
Respiro ancora e la bacio appena esce dalle mie labbra: è un’amante che va e viene di continuo. Mi piace così, non mi sento tradito o abbandonato, ma semplicemente amato.
Aria.
Respiro Aria.
Amo l’Aria.
20 sabato Giu 2015
Posted Il mio cuore, Scorci di vita
in06 martedì Nov 2012
Tag
citazioni, coraggio, desiderio, Diario di un viaggiatore, Johnatan Dante, libertà, pesce, tu, zen
“Un cerchio nell’acqua che si espande
è il messaggio di libertà di un pescetto
che è balzato fuori dalla superficie del mare
per vedere com’è il mondo là fuori…”
Tratto da Diario di un Viaggiatore di Johnatan Dante
01 martedì Mag 2012
Posted Scripts, Storia di un disegnatore
inTag
appartamento, disegnatore, episodio, libertà, rebus, serie, vento, voce
Non se l’aspettava proprio di trovare così tanta fatica nell’alzarsi dal letto. La sveglia trillava imperterrita e pulsava vigorosa ma le sue orecchie sembravano indifferenti al rumore molesto.
Finalmente decisa una mano si levò alta, per poi scostare i lunghi capelli dalla fronte e passare sulle palpebre ancora chiuse, precipitando alla fine con forza verso il malcapitato marchingegno. Risultato: la sveglia, colpita di striscio saltò sul parquet e, rimbalzando, sputò fuori le pile. Lentamente piegò gli addominali, rovinando il bellissimo emblema del gruppo metal preferito disegnato sulla maglietta sudata che nascondeva quel po’ di pancetta etilica, risultato della copiosa bevuta della serata prima. Ormai ce l’aveva quasi fatta: era seduto sul letto, ma gli occhi erano ancora chiusi, le labbra piegate in un leggero sorriso, quasi cullate dal dolce pensiero del bel sogno appena svanito. All’improvviso, arrivò l’ultimo colpo di sonno che liberò il suo corpo dagli invisibili tiranti che sembravano sostenerlo, facendolo rovinare disteso sul materasso ma, nel farlo, il gomito picchiò sullo spigolo del comodino di fianco “Che male!” e qualche mugolio di dolore sancì la definitiva fine del risveglio. Finalmente era cosciente, rintontito ma abbastanza sveglio da sentire il caldo provocato dalla botta sul gomito. “Non l’ho mai sopportato quel comodino”, forse per il fatto che si trattava di un residuo del mobilio comprato con la sua ex, di cui aveva promesso di disfarsene al più presto.
Mentre metteva su il caffè e rimetteva in funzione la sveglia, rimandava il pensiero al sogno appena fatto. Era deliziosamente intrigante e sexy: aveva rimorchiato al solito bar una ragazza bellissima, dopo chiacchere infinite e qualche tiro di una canna che girava, s’erano finalmente baciati a ripetizione, quasi fossero al ritmo del tipico rattattattà militare. Poi il sogno s’interrompeva, o meglio diventava fusco e nero. Probabilmente dopo quel bacio tutti e due avranno preso la loro strada e saranno andati alle proprie abitazioni. Era sicuramente un bel sogno, ma non era da lui: digiuno di donne com’era, l’avrebbe circuita in tutti i modi possibili per farle vedere la sua “collezione di farfalle” o sarebbe ricorso ad altri espedienti che di solito funzionavano con lui. Il caffè era ormai pronto e la moka borbottava, mentre un altro sorriso comparve sulla sua bocca. Certo, aveva molto fascino e, quando questo non bastava per abbindolare le malcapitate, sfoderava la sua prodigiosa parlantina. Terribile parlantina, oserei commentare. Quando si metteva era di un logorroico pazzesco, ma sapeva tenere in piedi ogni genere di discorso senza risultare noioso. Ringraziava gli studi classici per questa dote innata e certi esami orali universitaria che avevano riportato alla luce queste sue doti.
Si vestì di corsa, era un giorno festivo, ma aveva un appuntamento con qualche collega per andare in montagna per scarpinare allegramente sui monti. Sui suoi monti, tra l’altro. La meta era dannatamente vicina alla casa dei suoi in montagna, dove aveva trascorso interminabili giornate estive coi suoi genitori. Di quei boschi conosceva ogni sentiero, ogni singola pianta, ogni sasso che delimitava il confine delle proprietà e, se si fosse impegnato, pure i nomi dei proprietari dei terreni che il sentiero lambiva. Conosceva il sentiero, la camminata non era impegnativa, “solo” 3 orette a salire e poco meno per scendere, e portava ad una chiesetta di legno molto caratteristica ed all’attiguo rifugio. Adorava quei posti, cosicchè il giorno prima aveva proposto ai colleghi “Perché non andiamo a camminare in montagna?” detto fatto, accolta la proposta la meta sorse spontanea dalla sua collega “Tu non hai casa in montagna? Andiamo dalle tue parti, no?” e così è stato. Al ritrovo erano tutti pronti: zaino in spalla, scarponi, k-way e berretto o fascetta per il sudore; il gruppetto di quattro persone si ricompose nella macchina del più anziano del gruppetto, un po’ eletto come guidatore sobrio, un po’ perché a lui non dispiaceva fare da autista ai suoi fedeli compagni di scampagnata. Il nostro disegnatore non amava guidare, piuttosto faceva da navigatore, quindi salì sulla macchina davanti, e con in mano il suo sketch-book, guardava distrattamente la strada, scherzava con gli altri passeggeri e sporcava il bianco delle pagine.
Verso la metà del viaggio, appena usciti dall’autostrada, gli schizzi iniziarono ad essere sempre più definiti. Erano il volto di due ragazzi, uno di fronte all’altro, intenti a conversare allegramente con un bicchiere di qualche drink estremamente alcolico in mano. Gli erano venuti dei tratti familiari: lei era più bassa ed il suo lui la guardava perso negli ipotetici discorsi che sarebbero potuti uscire da quelle labbra, semmai quella scena fosse stata reale. Ma … un attimo! Una sorta di Déja vu improvviso lo colse alla nuca. Questa scena l’aveva già vista… anzi… vissuta! Allora non era solo un sogno? La sera prima stava bevendo tranquillamente con i suoi colleghi e lui parlava con la sua team-partner e…
Aspetta! Frena! Gran calma! Guardò dentro lo specchietto retrovisore ed intravide il suo volto. Stava lì, tranquilla, a cianciare con il suo compagno di viaggio, scherzando e ridendo in un modo più bello del solito. Una strana luce l’avvolgeva. Quasi esistesse solo lei sui sedili posteriori, quasi non ci fosse nessuno alla guida di quell’auto e quasi come lei stesse fissando lui mentre la guardava… “Hey, tutto bene? C’è qualcosa che non va?” Si scosse dal torpore del momento “No, no… tutto ok… ” Trasalì… era lei la ragazza del sogno!